Che le nostre vite digitali siano costantemente sotto controllo è un fatto piuttosto noto. Ma che cosa le controlli, quali sono gli strumenti, le insidie ed i modelli specifici che lo consentono lo si conosce un po’ meno. Ad esempio: avete mai sentito parlare di “dark pattern“? Di cosa si tratta? Come possiamo difenderci da essi?
Il lato oscuro della user experience
Come è possibile che, talvolta, navigando sul web, ci capiti di acquistare qualcosa a nostra insaputa o di registrarsi a servizi senza volerlo? Il motivo è probabilmente legato a come è stata costruita l’interfaccia con l’utente. Progettare e realizzare un software per una applicazione o una pagina web non significa soltanto lavorare sulla parte algoritmica, sull’efficacia del processo. Significa anche – e, direi, soprattutto – creare qualcosa che sia accattivante per l’utente, esteticamente ed emozionalmente. Inoltre, essa deve essere funzionalmente convincente, scorrevole, per il target di riferimento. Il termine tecnico per questa fase delicata del lavoro di progettazione è UX Design. Ma che succede quando l’interfaccia risulta essere volutamente realizzata come non intuitiva, tanto da confonderci e indurci a compiere scelte anche contro i nostri interessi? Benvenuti nel lato oscuro della user experience.
Dark pattern e UX Design
Analizziamo quindi più da vicino come, nel realizzare le interfacce-utente, si possano nascondere insidie tali da riuscire a manipolare le nostre scelte. Tali insidie deliberate sono chiamate, in gergo, dark pattern, “modelli” o “schemi oscuri”. A quanto ne sappiamo, il primo a formulare esattamente il concetto di “dark pattern” è stato l’UX designer Harry Brignull, una decina di anni fa. Ma come funzionano i dark pattern esattamente? Le modalità con cui questi “schemi oscuri” lavorano nelle interfacce sono molteplici. Molto spesso si tratta banalmente di pulsanti o di caselle di spunta posti in posizioni strategiche e con dimensioni variabili a seconda della finalità. Anche i testi possono rappresentare delle vere e proprie insidie, come domande mal poste o ambigue call to action. In genere, gli sviluppatori fanno leva sul fatto che – in rete – la maggioranza degli utenti tende a leggere e visualizzare le informazioni in modo assai superficiale: la scarsa attenzione favorisce pertanto l’errata comprensione e crea terreni fertili per pianificare l’inganno. Chiaramente, tutti questi schemi o modelli insidiosi sono considerati illeciti secondo la legislazione vigente, poiché violano le più banali norme di trasparenza e chiarezza.
Alcuni esempi di dark pattern
Tra i dark pattern più comuni possiamo annoverare:
- le domande trabocchetto: quando, ad esempio compilando un form, si è portati a rispondere in modo contrario a quanto vorremmo, perché ingannati dalla formulazione del quesito;
- gli acquisti occulti, che compaiono misteriosamente nel nostro carrello durante il percorso guidato all’interno di un e-commerce (probabilmente perché non abbiamo deselezionato una opzione preimpostata);
- l’uscita labirintica: è facile abbonarsi ad un servizio, ma per disdirlo… si deve patire!
- gli annunci mascherati, che emulano stile e contenuto della pagina che stiamo scorrendo, ma che, cliccandovi sopra, ci portano altrove.
Quelli citati sono solamente alcuni esempi. Per un elenco veramente esaustivo e in continuo aggiornamento è possibile consultare l’archivio online darkpatterns.org, creato da Harry Brignull.
Come difendersi dal lato oscuro
Nonostante appaia molto spesso difficile tornare indietro, una volta che si è stati beffati da un dark pattern, non è affatto detto che le cose stiano effettivamente così. Gli scenari da Far West che sino ad oggi hanno caratterizzato l’infosfera digitale stanno progressivamente cambiando: sempre più spesso, infatti, associazioni dei consumatori e autorità pubbliche preposte al controllo degli illeciti digitali – come la Polizia Postale, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il Garante della Privacy – possono fornire un valido aiuto nel risolvere problematiche di tal genere.
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