Se ne parla tanto, tantissimo. Da quando Mark Zuckerberg lo ha introdotto, spuntano numerosi articoli dedicati al tema. Si tratta del Metaverso, il nuovo universo virtuale che consente però di fare veri affari. E già si parla di investimenti milionari. Esploriamo dunque questa nuova dimensione del mondo virtuale.
Da Facebook a Meta
E’ indubbio che se Mark Zuckerberg non avesse ridenominato la propria azienda Meta e non avesse lanciato un video – poi diventato virale – sulle “magnifiche sorti e progressive” del nuovo universo virtuale, non avremmo avuto una tale accelerazione. Ma che cosa è, alla fin fine, questo nuovo orizzonte dell’economia digitale?
Universo parallelo
Etimologicamente la parola “metaverso” è composta dal suffisso “meta”, letteralmente “oltre” e “versus”, abbreviazione latina di “universus”. Si tratta quindi di un universo ulteriore, parallelo rispetto al nostro reale. Caratteristica sostanziale del metaverso è la sua totale virtualità, nel senso che esso non ha alcuna realtà fisica.
L’origine letteraria
A quanto riporta l’enciclopedia Treccani, il primo a parlare esplicitamente di Metaverso è stato – non a caso – un autore di fantascienza: Neal Stephenson. L’opera in cui il termine appare è un classico del cyberpunk, Snow Crash (1992). Qui il Metaverso è “[…] uno spazio tridimensionale all’interno del quale persone fisiche possono muoversi, condividere e interagire […]”.
L’ipotesi cinematografica
A dare un senso piuttosto sinistro all’ipotesi di un mondo totalmente virtuale in cui si è immersi ci ha pensato, pochi anni dopo, un celebre film: Matrix (1999) dei fratelli (oggi sorelle) Wachowski.
La svolta videoludica
Ma il primo tentativo concreto di realizzare un universo virtuale dove vivere una vera e propria “seconda vita” lo si deve alla Linden Lab, società americana che nel 2003 ha lanciato sul mercato il suo multi-user virtual environment (MUVE) Second Life. Si tratta di una piattaforma 3D nella quale è possibile fare tantissime cose: studiare, fare shopping, incontrare persone, giocare, ecc.
La spinta: da Ready Player One alle comunità videoludiche
E’ però con il secondo decennio del XXI secolo che si è assistito ad una vera e propria accelerazione verso il Metaverso, ben prima del lancio di Zuckerberg. Ci piace qui citare due casi emblematici che ben rappresentano questa traiettoria, nella quale il colosso di Menlo Park ha svolto solo una piccolissima parte. Nel 2011 Ernest Cline pubblica il romanzo Ready Player One (poi ripreso al cinema da Steven Spielberg nel 2018), nel quale l’umanità del futuro – siamo nel 2045 – ha come unica possibilità di svago – dato il pessimo stato del pianeta – quella di connettersi ad OASIS (Ontologically Anthropocentric Sensory Immersive Simulation), vero e proprio mondo virtuale in cui poter svolgere qualunque attività. E’ un segno dei tempi: nello stesso anno esce la versione completa di Minecraft, forse il più noto mondo virtuale nel quale giocare non significa più soltanto raggiungere un obiettivo, bensì esplorare, costruire, trasformare. Una comunità che coinvolge ben oltre 140 milioni di utenti attivi al mese. Due anni dopo, nel 2013, fa il suo esordio Grand Theft Auto 5, probabilmente il più grande open world di tutti i tempi, visto che riesce a coinvolgere circa dieci milioni di giocatori a settimana.
Il Metaverso, oggi, esiste?
La domanda appena posta non è però affatto peregrina. Esistono infatti numerosissimi tentativi, da parte di molte aziende digitali, di accreditare la propria esperienza virtuale come autentica espressione del Metaverso. Si tratta però, appunto, di meri tentativi, anche se spesso ben riusciti, di avvicinarsi al puro concetto originario. Il Metaverse firmato Zuckerberg, l’Omniverse di Nvidia e Mesh della Microsoft ne sono eccellenti rappresentanti. Le esperienze videoludiche che abbiamo accennato in precedenza rappresentano anch’esse forme embrionali di Metaverso. In tutti questi casi si propongono effettivamente ambienti online dove poter lavorare, socializzare e giocare, anche in una realtà virtuale tridimensionale, essendo rappresentati dal proprio avatar. Ma il rischio concreto è che queste esperienze non riescano a convergere verso un unica realtà globale, bensì si propongano separatamente, come isole virtuali distinte. Più che di Metaverso si dovrebbe allora parlare di Multiverso, ossia di più universi paralleli.
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